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Immagine del redattoreRiccardo Marongiu

Jimmy Fontana


In una delle edizioni del “Campanon”, il tradizionale festival della canzone dialettale romagnola tenutosi per decenni a Cesena, conobbi Jimmy Fontana, lì presente come special guest.

Per questioni tecniche sopraggiunte durante l’allestimento della manifestazione, naturalmente risolte, attaccammo subito bottone, scoprendo di avere in comune la passione per le tecniche di registrazione e per ogni genere di attrezzo per la produzione di musica.


Io lo conoscevo come cantante e non immaginavo coltivasse tali interessi dato che i cantanti, salvo eccezioni, sono bene al di fuori dal mondo della registrazione e delle tecniche correlate, ma riflettendoci bene la cosa non era poi così strana conoscendo il personaggio.

Infatti Jimmy Fontana (che è uno pseudonimo) era un musicista appassionato di jazz, che ha mosso i primi passi all’interno di questo genere, avvicinandosi in seguito alla musica leggera.

Insomma tra un discorso e l’altro, compatibilmente con la preparazione dell’evento, alla fine ce ne andiamo a cena in un ristorantino vicino al teatro.


Finalmente si può parlare estesamente e senza interruzioni, ma non prima di aver fatto la comanda e avere stappato una bottiglia di rosso.

Scopro che Jimmy a Roma possiede una collezione di tastiere invidiabile, si parla di questa e di quella, di quel suono, di quel comando, di quelle prestazioni, ma poi la cosa si fa più interessante quando mi racconta di una tecnica di produzione con due Studer 24 tracce accoppiati, usata da Quincy Jones. Sapete, Quincy è stato definito “Il più grande arrangiatore dell’universo”, lavorare con lui è un onore, i suoni dei suoi dischi sono un cult oggetto di studio da parte di tutti, ha collezionato ben ventisei Grammy Award e ha prodotto l’album più venduto nella storia, Thriller!

Pendo dalle labbra di Jimmy.


Si passa da quel microfono a quel suono, da quella tastiera a quella canzone, insomma un excursus sul dietro le quinte di un mondo ormai passato, che oggi le canzonette si fanno in casa senza nemmeno cantare, con i suoni scaricati da Internet bell'e pronti.

peccato che tutti usino lo stesso materiale, una omologazione senza precedenti...


Poi mi racconta della sua più grande delusione professionale, quella di non aver potuto cantare “Che sarà”, un brano che ha fatto il giro del mondo e che, per ragioni “commerciali”, era stato affidato ad altri, e non si riferiva di certo a Josè Feliciano.


Parlando del Fairlight, la prima workstation digitale, passammo a stappare la seconda bottiglia accennando sottovoce alle note de “il Mondo”, il suo più grande successo, tradotto in più lingue e arrangiato, nella versione originale, da Ennio Morricone.


E ancora e ancora tastiere, microfoni, cavi e qualche chicca dell’ambiente musicale.

Devo dire che Jimmy si era rivelato una persona positiva, innamorato del suo lavoro che, per delusioni professionali, aveva abbandonato per qualche anno.

Non lo conoscevo ma abbiamo passato un bel momento insieme.


Ma era tempo di ritornare in teatro per lo spettacolo.


Riccardo Marongiu©

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